NB Quelli che seguono sono appunti relativi alle varie comunicazioni. Non hanno nessuna pretesa di completezza. Segnalazioni riguardanti errori, imprecisioni o altro saranno più che gradite.
Tutti insieme (a censire) appassionatamente
Sulla notizia
2010, anno internazionale della biodiversità: per stare, come si dice, sulla notizia, il comitato organizzatore degli Incontri Lombardi di Ornitologia non poteva non inserire questo tema nell’agenda delle sessioni. Il solito sputasentenze non mancherebbe di lamentare la carenza di originalità nella scelta. La realtà è ben diversa: il naturalista, o l’ornitologo nella fattispecie, ha da sempre nel cuore l’argomento, è nel suo DNA, per ricorrere ad abusato topos. Capitan Bogliani, del resto, indica da subito la linea. “Cosa è la biodiversità?”, si chiede e ci chiede nella comunicazione che apre le danze. In primo luogo, il concetto, che dobbiamo a E. Wilson (1980), è permeato da meccanismi emotivi. Per l’appassionato basterebbe e avanzerebbe; in realtà bisogna andare oltre. La biodiversità – nelle sue tre accezioni: ecosistemica, specifica e genetica – è nello stesso tempo espressione e motore dell’evoluzione.
Il Pianeta presenta aree a grande ricchezza di specie e di ecosistemi, e lande più povere. L’Italia ha un suo posto di rilievo. Si parla di un totale di 63000 specie nel Bel Paese: 1176 vertebrati, 56170 invertebrati, 5600 piante vascolari. Mica poco: i dati al riguardo ci arrivano, ricordiamolo, da preziose interazioni tra musei, mondo accademico e amatori. Le conoscenze al riguardo non sono al momento omogenee, richiama Bogliani: le zone più ricche sono, guarda caso, quelle sulle quali si è più studiato e approfondito. Implicito l’invito: andate sul terreno, bagaj, e portate a casa dati.
Rimane l’interrogativo. Serve la biodiversità? Al di là di discorsi estetici e scientifici, e di implicazioni etico-religiose ci sono importanti conseguenze per la vita dell’umana progenie. Il Ganoderma lucidum – un fungo del legno morto, pensa te – contiene una molecola che permette di combattere gravi malattie degenerative, proprietà molto utile per una specie, la nostra, che vede aumentare l’età media. E altre specie affini stanno rivelando simili qualità farmaceutiche. È una delle tante connotazioni della biodiversità.
L’uomo si trova così di fronte ad una responsabilità. Cosa fare? Due approcci: conservare e gestire. Le aree protette, ormai lo sappiamo, non bastano. Soprattutto: non sempre i territori più meritevoli o le emergenze naturalistiche più significative sono inseriti all’interno dei confini di parchi e affini.
Permettere ai sistemi naturali di mantenere una resilienza, ovvero la capacità di assorbire le perturbazioni. Countdown 2010, conto alla rovescia 2010, così venne denominato un programma di lavoro a livello europeo, che forse sarebbe meglio chiamare buon proposito. L’impegno a favore della biodiversità, questo il tema del progetto, è fallito. A dirlo, un organismo insospettabile, il CESE, Comitato Economico e Sociale Europeo, organo dell’EU.
La voce della LIPU, e di Birdlife
A Massimo Soldarini, in rappresentanza degli enti sopra citati, tocca il compito di approfondire quanto espresso da Giuseppe Bogliani. La situazione è pesante: non uno degli obbiettivi di Countdown 2010 è stato raggiunto. Il declino della varietà biologica è inarrestabile, secondo un processo che dal Dopoguerra a oggi ha visto modificare gli attori principali. Se prima erano le minacce dirette a causare problemi agli amici alati, da un decennio sono soprattutto le cause indirette: perdita di habitat, arrivo di specie esotiche, deforestazione…
I dati sul consumo di suolo gridano vendetta. I documenti di programmazione territoriale per la nostra Lombardia prevedono la sparizione di ulteriori frazioni di una risorsa, ricordiamolo, non rinnovabile. ST Il WWF ha steso un rapporto al riguardo “2009 – L’anno del cemento”
Lo trovate qui:http://www.wwf.it/UserFiles/File/News%20Dossier%20Appti/DOSSIER/Natura%20e%20territorio/Dossier%20WWF%202009_ANNO%20DEL%20CEMENTO%20_2_.pdf
Il quadro italiano è desolante, soprattutto se confrontato con la situazione europea. Uno studio di Birdlife mostra come il nostro paese detiene il poco nobile primato di avere il più alto numero di ZPS e SIC minacciate dall’impatto di strade e affini. In Lombardia arriveranno bretelle e autostrade, l’ampliamento di Malpensa; ci sono le linee di alta tensione: il tutto si erge minaccioso sulle chiazze verdi di molte aree protette e non solo. ST Le azioni per contenere queste minacce vanno impostate su vari ambiti, anche alla piccola e media scala, coinvolgendo le istituzioni. ST Soldarini presenta un lavoro su cui stanno operando, in collaborazione con diversi enti, tra cui la Fondazione Lombardia per l’Ambiente. Nella Provincia di Varese è stata stesa una rete ecologica, individuando un insieme di aree e connessioni, lavorando a livello cartografico a scala 1:10.000. Il tutto è poi stato verificato sul campo. La verifica ulteriore ha interessato i PGT dei Comuni interessati: le amministrazioni coinvolte non hanno manifestato nei loro documenti di programmazione territoriale interesse per i corridoi ecologici. Il modello, esportato anche nella Verbano – Cusio – Ossola, ha incontrato l’interesse della Fondazione Cariplo, che sosterrà economicamente interventi su aree-chiave, nel dettaglio zone di collegamento tra aree protette.
A volte ritornano
Toh, chi si rivede. Andrea Agapito e Francesco “Ciccio” Cecere, dall’Oasi Le Bine, mi rimandano a qualche lustro fa, quando da attivista e responsabile di sezione bazzicavo il WWF Lombardia. I nostri ci illustrano un bilancio di un trentennio di Oasi. Le note non sono positive. Nel tempo si sono verificate alcune variazioni che preoccupano. Negli ultimi anni si è assistito ad un impoverimento degli ambienti d’acqua, sia in termini di biodiversità che in termini di estensione. Il tutto a dispetto di operazioni attuate con l’obbiettivo di garantire un futuro ai settori umidi della Riserva. Qualche dato:
- molluschi d’acqua: 11 specie perse, e due guadagnate (esotiche);
- coleotteri d’acqua: più della metà delle specie perse;
- odonati: 11 specie perse;
- farfalle: 13 specie perse.
I pesci seguono andamenti generali: afflusso, ahinoi, di specie esotiche.
La popolazione di rana di Lataste ha subito fluttuazioni ma si può considerare stabile.
Gli ecosistemi di terra hanno incontrato invece variazioni in positivo, per i lavori di riforestazione e lo sviluppo di ambienti non umidi. Anche l’avifauna ha subito impatti. La comunità legata all’acqua è andata incontro alla perdita di alcuni taxa. Le cause dell’evoluzione illustrata vanno cercate sia in ambiti più generali (variazioni climatiche, invasione pervasiva di specie alloctone…) che in situazioni locali. L’abbassamento dell’alveo del fiume, ad esempio, ha provocato richiami di acqua dalla lanca. Occorre, sottolineano Andrea e Ciccio, un salto serio di qualità nelle politiche territoriali e nelle prospettive complessive di gestione dell’ambiente.
Incontinenza urbana
Flavio Ferlini illustra una serie di numeri. Il tasso annuo di aumento del consumo del suolo è aumentato a partire dal 1990, rispetto al periodo 1940-1990.
In Lombardia, nel periodo 1990-2005 si è avuto un calo delle aree agricole: 4.7 m2/abitante/anno. A tutto ciò corrisponde un aumento dell’urbano e delle strade. Una riflessione: l’aumento dell’urbanizzato non è in linea con l’aumento della popolazione. In buona sostanza: nella nostra regione – con Lodi a detenere la maglia rosa – ci sono spazi edificati in più rispetto alle reali esigenze. Siamo di fronte a quelle che qualcuno ha definito “incontinenza urbana”.
Una fetta non indifferente di spazio viene ceduto alle attività di cava. Ferlini ci porta dalle sue parti, nella zona di Castelletto di Branduzzo – Lungavilla, nel Pavese. I dati sull’andamento della popolazione ornitica ci fornisce alcuni spunti. Le cave si rivelano utili rifugi per la biodiversità ornitica: lo rivelano spie importanti quali il rapporto passeriformi/non passeriformi, soprattutto se confrontato con quello delle aree agricole e dei settori urbani. Anche il numero di nidificanti è significativamente più alto nelle zone di cava.
Da ultimo, Ferlini mostra come si possano sfruttare i tetti per piazzarci il verde tolto dal piano campagna. In alcune realtà urbane si sono avute anche significative nidificazioni.
Ospiti graditi
L’esplorazione del territorio in cerca di uccelli e la correlazione con dati ambientali può trovare validi aiuti da parte di altre discipline. È il caso del telerilevamento. Roberto Colombo ci illustra le potenzialità di queste operazioni. Colombo viene dal mondo della geologia, e si occupa, appunto, di queste tematiche. Le potenzialità del telerilevamento sono molte, soprattutto per una raffinata lettura di variabili e di componenti del suolo. Collegamenti con il mondo ornitologico, e più in generale con gli ambiti legati alla conservazione, sono intuibili. In particolare, Colombo dedica dello spazio ad un’indagine sui cicli vegetativi di alcune specie arboree in ambiti montani (Valle d’Aosta e Sudtirolo). Il telerilevamento permette di annotare, ad esempio, l’inizio del ciclo vegetativo, dato di grande interesse. Il riscaldamento globale ha provocato un anticipo delle date di partenza. Non è tutto: questi dati possono essere correlati con quelli relativi alle temperature. Con implicazioni interessanti: se conosciamo dati di temperatura del passato possiamo ricavare serie le storiche dell’andamento dei cicli vegetativi.
Un altro esponente del Pianeta Geologia, Walter Maggi, dedica una presentazione alle problematiche del riscaldamento globale e dell’impatto sui ghiacciai alpini.
Due incursioni, quelle dei due geologi, gradite e interessanti.
Roberto Ambrosini presenta un lavoro svolto insieme ad altri studiosi. L’indagine ha un respiro internazionale, anche perché vede coinvolte istituzioni di altri paesi.
La primavera, effetto dei cambiamenti climatici indotti dalle attività antropiche, vede via via anticipare la propria data di partenza. Questo ha ovvie implicazioni sui cicli biologici di piante e animali. Per un migratore la cosa può avere conseguenze non trascurabili, anzi.
I risultati del lavoro mostrano come ci sia un generalizzato anticipo dell’arrivo dei migratori ai quartieri di nidificazione. Ma, a quanto pare, non è sufficiente a compensare lo sfasamento rispetto ai cicli vegetazionali e ai ritmi biologici delle potenziali prede sedentarie. La risposta varia da specie ornitica a specie ornitica. Lo studio ha combinato dei dati di temperatura, scelti per rappresentare l’andamento delle stagioni e il passaggio inverno – primavera, con il calendario. Per avere dei numeri, sono state scelte serie storiche relative a 4 siti di inanellamento del Nord Europa. Le serie riguardano le date di arrivo dei migratori, che vengono combinate con le temperature. Gli uccelli cercano di anticipare il loro ritorno, ma la cosa non riesce a compensare adeguatamente lo sfasamento. Ciò ha effetti negativi sulle entità delle popolazioni. A soffrire di più sono, è intuibile, i migratori a lungo raggio, che subiscono cali demografici più forti.
I risultati del lavoro mostrano come ci sia un generalizzato anticipo dell’arrivo dei migratori ai quartieri di nidificazione. Ma, a quanto pare, non è sufficiente a compensare lo sfasamento rispetto ai cicli vegetazionali e ai ritmi biologici delle potenziali prede sedentarie. La risposta varia da specie ornitica a specie ornitica. Lo studio ha combinato dei dati di temperatura, scelti per rappresentare l’andamento delle stagioni e il passaggio inverno – primavera, con il calendario. Per avere dei numeri, sono state scelte serie storiche relative a 4 siti di inanellamento del Nord Europa. Le serie riguardano le date di arrivo dei migratori, che vengono combinate con le temperature. Gli uccelli cercano di anticipare il loro ritorno, ma la cosa non riesce a compensare adeguatamente lo sfasamento. Ciò ha effetti negativi sulle entità delle popolazioni. A soffrire di più sono, è intuibile, i migratori a lungo raggio, che subiscono cali demografici più forti.
Una chiosa di Bogliani giunge puntuale. Di fronte a tante problematiche fin qui illustrate occorre una risposta del mondo ornitologico. Per poter incidere sulla popolazione e sulla pubblica amministrazione occorre avere materiale su cui lavorare, occorrono dati. Ritorna il motivo dominante della giornata. Andare sul campo, raccogliere materiale, condividere le informazioni. Superare barriere e rivalità significa combattere il riscaldamento globale e il consumo di suolo. Un ruolo significativo, sottolinea il prof, può essere ricoperto proprio da chi fa dell’ornitologia e del birdwatching attività del tempo libero. Il mondo accademico da solo non può farcela.
Parrebbe assist dei più classici per Mattia Brambilla, che ci espone un progetto su cui sta lavorando insieme ad altri autori tra i quali, guarda caso, lo stesso Bogliani. Il buon Mattia non ne ha certo bisogno. Quello di cui necessita sono, appunto, dei collaboratori, per un programma triennale di lavoro. Le direttive europee, introduce Mattia, impongono di mantenere condizioni adeguate per le specie più sensibili e più a rischio. Il programma di lavoro avrà una durata di 3 anni: 2009-2011. Verrà individuata una rete di monitoraggio su scala regionale, che combini dati su avifauna e dati ambientali. Pensare di coprire tutta la Lombardia non avrebbe senso, si individueranno allora aree-chiave. Esistono già progetti che interessano molti taxa (MITO…). Esistono però situazioni meno coperte. Ed esistono metodi di censimento variabili da specie a specie. Un passo importante sarà la verifica dei metodi di studio sul campo. E una conseguente verifica delle idoneità dei siti per specie-chiave, oltre che dei modelli che definiscono tali idoneità.
Quale ruolo per i gruppi locali? Diversi compiti: individuare popolazioni-chiave, sottoporre a verifica i metodi di censimento, verificare modelli di idoneità…
Quale ruolo per i gruppi locali? Diversi compiti: individuare popolazioni-chiave, sottoporre a verifica i metodi di censimento, verificare modelli di idoneità…
Il sasso è lanciato….
Tutti insieme (sul campo) appassionatamente.
Tra aquile e gipeti: ali sullo Stelvio
Tra aquile e Gipeti sembra non correre buon sangue. Francesca Diana ci illustra un lavoro svolto nel’area del Parco dello Stelvio, versante lombardo. 14 coppie di aquile reali e 4 di gipeto: questa la situazione, tenuta sotto controllo dal 2004. A operare un gruppo di lavoro, all’interno del quale trovo un’altra vecchia conoscenza, Enrico Bassi. Accanto alle prevedibili (e fondamentali) operazioni di censimento e affini sui siti riproduttivi, sono state esaminate le interazioni tra le due specie ed è stato seguito il comportamento parentale delle aquile. Queste ultime hanno ormai quasi saturato la zona: ogni tanto una buona notizia, vien da chiosare.
La parte più interessante dello studio è sicuramente quella riguardante le interazioni tra i due signori del cielo. Le competizioni possono interessare, è intuibile, l’utilizzo dei siti di nidificazione: ci sono casi di nidi di aquila usurpati dall’avvoltoio. Il gipeto comincia prima le fasi riproduttive, ricorda Francesca Diana. Sono state osservate 37 interazioni; nel 57% dei casi, era l’aquila la specie attaccante. Sono state considerate alcune variabili: copertura nevosa, distanza tra i territori delle coppie delle due specie, distanza tra i territori di coppie di aquila. La presenza del gipeto può influenzare in modo significativo la riproduzione dell’aquila. Il disturbo più forte si ha nel periodo che precede e accompagna la deposizione. Successivamente, tali disturbi divengono marcatamente meno intensi. Il tutto ha effetto, soprattutto nel caso di coppie giovani di aquila, sul successo riproduttivo.
Le analisi sul comportamento parentale dell’aquila hanno mostrato che dopo la schiusa il lavoro al nido spetta alla femmina. Non si hanno differenze di abitudini nel caso di coppie localizzate vicino a territori di gipeto.
Voci dalla Cassinazza
Cassinazza di Baselica: il nome dice poco alla massa, probabilmente. Ma, per chi è più addentro alle segrete cose riguardanti il territorio e la fauna lombardi, la faccenda cambia. Si tratta di una tenuta privata localizzata in provincia di Pavia. Qui, da alcuni anni sono attivi importanti progetti di ripristino e recupero ambientale, pensati per ridare un volto prossimo alla naturalità al sito. Il luogo è, ahinoi, interdetto ai più. Poco male: c’è chi vigila per noi. Tra questi Violetta Longoni, che ci racconta dei 10 anni di censimenti ornitologici in quel della Cassinazza. 10 anni, sissignori, e ogni settimana: numeri mica da poco per il Bel Paese. Lo sforzo ha prodotto frutti interessanti e belle soddisfazioni per il gruppo che ha operato sul campo. Violetta fornisce qualche numero. 203 specie in totale. Di queste oltre 150 sono presenti, con svariati status, in modo regolare. 61 sono i nidificanti, 50 di essi regolari. Nel tempo gli ambienti che compongono il mosaico di questo angolo di Lombardia (coltivi, aree umide, settori boschivi…) hanno incontrato mutamenti, si sono evoluti. Non sono mancate le estinzioni, legate magari alla citata naturale evoluzione degli ecosistemi, oppure a troppo forti rigori invernali (è il caso del beccamoschino e dell’usignolo di fiume). Tra le nuove comparse, una specie a me cara, il picchio rosso minore. È giunto per la prima volta nel 2008, e frequenta pioppeti maturi: per una coppia è stata accertata la nidificazione. Vi sono poi 3 territori stabili.
Gli inverni hanno registrato importanti presenze, grazie alla configurazione a isola della Cassinazza, circondata da settori nei quali la presenza umana è particolarmente forte.
Gli inverni hanno registrato importanti presenze, grazie alla configurazione a isola della Cassinazza, circondata da settori nei quali la presenza umana è particolarmente forte.
Hopp Schwiiz. In cerca dello smergo maggiore
Nel nome di una affinità, in primis di parlata e di vernacolo, non poteva non mancare una rappresentanza dal Canton Ticino. “…nella mappetta…”, spiega Chiara Scandolara illustrando quanto è stato fornito agli iscritti al convegno. A volte basta una semplice parola come spia rivelatrice delle origini di una persona. Per chi non lo sapesse, il termine indica, a Lugano e dintorni, la cartelletta. Ma queste sono altre storie. Venendo al sodo, Chiara Scandolara ci porta nel mondo dell’upupa e di alcune pratiche di conservazione messe in atto nel Canton Ticino. La specie ha subito una netta contrazione in quasi tutta la Svizzera. Lo studio presentato è partito da modelli di idoneità ambientale, utilizzati per prevedere la possibile presenza della specie in un sito. successivamente sono state svolte verifiche sul campo. Alcuni nidi sono stati seguiti con videocamere per studiare le prede.
Sono stati individuati alcuni fattori limitanti: basso numero di cavità utili per la riproduzione, mancanza di ambienti idonei, difficoltà nell’accedere alle prede (presenza di reti antigrandine, erba troppo alta…)... Sono stati stipulati accordi con agricoltori, per eliminare le reti antigrandine, favorire i muri a secco, gestire in modo appropriato gli sfalci. Si è cercato di promuovere le colture di tipo estensivo. Qualche risultato interessante si sta già avendo. Roberto Lardelli fa il punto della situazione su un prezioso strumento che si sta rivelando sempre più utile. Ovviamente di parla di Ornitho. Qualche numero:
- la versione italiana ha fornito in un anno 320mila dati;
- gli iscritti sono 1417, Lardelli stima che potenzialmente potranno arrivare a 2500;
- l’inverno 2009-2010 ha prodotto 92mila dati, relativi a 296 specie, di cui 275 autoctone.
Il futuro si presenta, a quanto pare, sempre più ricco e stimolante. Dalla primavera di quest’anno la piattaforma si estenderà anche all’Austria e alla Germania. Le potenzialità per il nostro paese? Chissà, magari la produzione di un atlante nazionale, mettendo in secondo piano italiche parrocchie e campanili.
C’è tempo, infine, per una rassegna delle leggi e degli strumenti normativi che interessano la fauna nella nostra regione: ce ne parla Umberto Bressan. Lucio Bordignon ci invita a partecipare alle operazioni di ricerca dello smergo maggiore sui laghi lombardi.
Qui trovate il programma del convegno
Matteo Barattieri
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